«La meraviglia del paesaggio che, stando lassù, ci circonda e ci avvolge. E ci permette di essere felici»

Una riflessione sulla felicità nella giornata dedicata – ricorrenza istituita nel 2012 dall’Onu – e oggi, più che mai, attuale e necessaria
di Paolo Pontivi
La Giornata Internazionale della felicità. Che ambizione. E dietro l’apparente immediata disponibilità di ciò che desideriamo, che vogliamo solo per un istante o che, invece, inseguiamo da tempo si nasconde l’insidia di una perdita.
L’insidia di una privazione non necessariamente impostaci da fattori o influenze esterne, spesso quasi ricercata e accettata. Nella scrittura, ad esempio, in certi pensieri e ragionamenti solo in superficie logici. Nel modo di vestire, nel modo di parlare e di stringere rapporti umani e di costruire relazioni durature.
Proprio in occasione della Giornata della felicità, è davanti ai nostri occhi la perdita della semplicità. Inscindibilmente connessa alla tanto ricercata felicità.
L’acuirsi dell’indomabile tendenza alla complicazione delle parole, delle ingannevoli innovazioni che solo all’apparenza ci agevolano l’esistenza. Della contorsione dei sentimenti e della paura.
In un turbinio di impulsi caotici che affaticano i nostri sensi, sottoposti a molte più sollecitazioni di quante ne vorrebbero e dovrebbero subire.

Le canzoni
E quando Al Bano Carrisi, accanto a una Romina Power un po’ impacciata e spaesata, cantava “felicità è un bicchiere di vino con un panino”, forse non si sbagliava più di tanto. Pur nella patina di banalità cui rimandavano quelle parole, di certo non espressione di una vena poetica sottile e raffinata, ma d’altronde vere e riconoscibili in un’immagine distesa e umana.
Perché tutti, presto o tardi, si trovano proprio lì. Con un panino e un bicchiere in mano, e non serve altro, assolutamente nient’altro. Ed è tutto perfetto così, quasi immobile nel suo incastro preciso. Un’istantanea da tenere nell’album dei ricordi, come un tesoro gelosamente custodito in fondo a un cassetto della biancheria, che all’improvviso sprigiona un profumo di ciò che si è vissuto in quel momento. Rimasto in noi proprio per la sua assoluta semplicità.
A volte le parole aiutano, più frequentemente non fanno altro che complicare ulteriormente le cose.
Gli scrittori
E non perché contino necessariamente più i fatti, così sopravvalutati nella loro indispensabilità, ma perché, generalmente, la trasmissione dell’entusiasmo e della felicità, pur nella più grande semplicità di intenti, è proposito assai arduo. Simile a quelli mai assolti da Zeno Cosini, della cui Coscienza Italo Svevo ha tracciato un ritratto indimenticabile.
Il controverso pensatore armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, le cui idee sono esposte e sintetizzate nel volume “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, dal suo discepolo Pëtr Dem’janovič Uspenskij, era convinto che gli uomini, nello stato psicologico e inconsapevole in cui vivono e vegetano, non hanno alcuna possibilità di comprendersi e di essere felici. Magari litigano ferocemente, pretendono a gran voce la semplicità, la quiete, e non si rendono conto che la pensano, gli uni e gli altri, esattamente allo stesso modo.
E così la felicità sfuma, ci passa sotto gli occhi e si dilegua e “se penso a come ho speso male il mio tempo, che non tornerà, non ritornerà più”, come canta (al presente) Franco Battiato, peraltro estimatore di Gurdjieff, allora la ricerca della semplicità, della felicità e della “stagione dell’amore” si fa più impellente. Un’urgenza quotidiana, di sforzi diretti a contrastare la mistificazione di oggetti e persone. L’artificiosità di un momento che, forse, ripulito dalla coltre di eccesso cui spesso tendiamo, risulta più adatto alle nostre vite. Scardinando la tenenza a sentirsi un personaggio sulla scena, inconsapevolmente parte di uno spettacolo non diretto da noi.
Lucio Dalla, Futura
Tutte le volte in cui ci accorgiamo di essere sul punto di superare i limiti, di qualunque tipologia essi siano, e di allontanarci sempre più dalla felicità, tornano alla mente le parole di un brano di Lucio Dalla, “Futura”,del 1980, quando, proprio sul finire del pezzo, dopo l’agitazione ritmica e testuale, ritorna la calma e lento lento, adesso batte più lento, ciao come stai, il tuo cuore lo sento, i tuoi occhi così belli non li ho visti mai, ma adesso non voltarti voglio ancora guardarti, non girare la testa, dove sono le tue mani? Aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura, domani.
I dettagli
Così, inevitabilmente, ci si rende conto di quante azioni, parole, gesti e pensieri abbiano affollato e affollino tuttora le nostre giornate.
Di quanti dettagli semplici, magari piccolissimi, ci siano sfuggiti, di quanto poco o nulla ci si sia mai fermati a osservare e a osservarci. Cavalcando incoscientemente quel filo su cui dobbiamo imparare a stare in equilibrio. Non tanto per la paura e il rischio di cadere, quanto per la meraviglia del paesaggio che, stando lassù, ci circonda e ci avvolge.
E ci permette di essere felici.
Come una coperta calda le sere d’inverno, l’incrocio e il sovrapporsi delle gambe e del corpo della persona amata, proteggendoci dalle intemperie e dagli “sbalzi d’umore”, dalle eterne indecisioni, dall’insicurezza e dalla ricerca ossessiva di affetto.
La ricerca della felicità
Per questo sono convinto che, a lungo andare, la felicità sia una figlia più che legittima della semplicità, che non intendo come ascetica privazione o apatica rassegnazione, ma come un ricordo dell’entusiasmo del noi bambino. Che nella sua veste di vento caldo estivo può asciugare l’umidità del superfluo che ci inganna, che ci distoglie dai nostri desideri e dai nostri obiettivi. E asciugare anche qualche nostra lacrima, lasciando posto al sorriso.
Capita spesso di sistemare accuratamente in un angolo della nostra memoria la sensazione di un momento intenso, che sia di gioia o di dolore, di salita o di discesa, o entrambe le cose contemporaneamente. Accorgendoci che forse è proprio per la sua disarmante semplicità che quel momento si è fissato così saldamente in noi, dentro e fuori, impaziente di riemergere con tutta la sua forza rievocativa e tranquillizzante. E altrettanto spesso non servono parole complesse o ricercate, subordinate infinte, perifrasi o sinonimi, latinismi e quant’altro.
In ogni caso, proprio la felicità ognuno la ricerca nel modo che gli è più congeniale, non potendo esistere una dimensione definitivamente oggettiva ed espressiva di un canone universale, escluso forse il sempreverde “panino con il bicchiere di vino”, evitando comunque di cadere “nelle mani di un robot”, come sussurrava e urlava Renato Zero in “Arrendermi Mai”, splendido brano dell’album “Erozero” del 1979.
Buona felicità a tutti.
